Per salvare la piallassa

Promettendo al Comune una battaglia senza esclusione di colpi - aule di tribunale comprese - per salvare quello che “è un bene di tutti i ravennati”. A cominciare dall’interramento dovuto alla fuoriuscita di fanghi dalla cassa di colmata: “Va assolutamente recuperato prima dell’estate per evitare che la piallassa vada in anossia. Faremo tutto il possibile perché si faccia questo intervento, fino a ricorrere alla magistratura”, afferma Massimo Bolognesi, presidente regionale del Wwf.Non più i “soliti” ambientalisti e i “soliti” pescatori, ma un “movimento d’opinione” - prossimo alla trasformazione in comitato - che mette insieme addirittura cacciatori (la sezione ravennate dell’Associazione cacciatori emiliano romagnoli) e Wwf regionale, Legambiente e capannisti (Associazione capannisti dei Piomboni e altri), Cooperativa Praim e singoli pescatori, e poi naturalmente il Comitato per la difesa della Piallassa del Piombone (attivo dal 1998), Italia Nostra, per arrivare addirittura alla Pro loco di Marina di Ravenna, all’Ordine della Casa Matha, al Comitato per la difesa della Fabbrica Vecchia e del Marchesato e all’Associazione per i Diritti civili fondata dal consigliere Alvaro Ancisi come emanazione nel campo del volontariato della lista civica. Loro stessi ironizzano sul fatto che “la proposta dell’amministrazione comunale di Ravenna di procedere con il ‘progetto di risanamento’ ha ottenuto il risultato, impensabile fino a pochi anni fa, di mettere d’accordo interessi che sembravano inconciliabili”.Il movimento - che, sottolineano, comprende anche tecnici - demolisce punto per punto il Piano di risanamento approvato dall’Amministrazione: “L’unico problema affrontato è quello di come disperdere in mare gli inquinanti immessi in piallassa piuttosto che evitare o eliminare gli scarichi”. Punto secondo, la costruzione di un argine fra porto canale e piallassa, “che viene giustificato come barriera di separazione delle acque, mentre nel progetto preliminare è espressamente dichiarato che ha lo scopo di costituire un deposito per il materiale di risulta dal dragaggio del porto canale; quest’argine costituirebbe un’ulteriore barriera al ricambio dell’acqua”. Punto terzo, “la realizzazione, nella zona di tutela e vincolo, di un piazzale di 250mila metri quadri da destinare a deposito container; viene giustificato come ‘cassa di colmata’ - osserva il gruppo - ma nel progetto preliminare si precisa che il materiale dragato è insufficiente per la realizzazione delle isole, e dovrà esserne quindi introdotto altro dall’esterno”. Altra prospettiva nefasta a parere del movimento è “la trasformazione di parte della piallassa, per una superficie di 100mila mq, a impianto di ‘fitodepurazione’, anziché - contestano - realizzare un vero impianto di depurazione fuori dalla zona di salvaguardia”. Pollice verso, poi, rispetto alla proposta di realizzare porte vinciane per l’entrata di acqua in piallassa: non solo “ne ridurrebbero enormemente la portata, con aumento dell’eutrofizzazione”, ma “impedirebbero anche l’ingresso della fauna ittica che lì si riproduce”. Infine, il traffico ciclabile che si svilupperebbe con la prevista costruzione di quattro chilometri e mezzo di piste ciclabili “arrecherebbe un disturbo continuo all’avifauna che attualmente staziona e nidifica in valle”.“Questo progetto non fa certo l’interesse della collettività - sottolinea Bolognesi -: la riqualificazione del porto non può avvenire a spese della piallassa. Si dovrebbe invece ripensare tutta l’espansione del porto, delocalizzando le attività in zone più consone, e mettendo mano, per la piallassa, a una rinaturalizzazione vera”. Quello che “viene spacciato” per un progetto di risanamento, avrebbe invece per il movimento l’effetto di “creare le premesse per l’interramento completo della piallassa, e quindi per la morte di quell’ambiente naturale”. Al contrario, il recupero deve passare necessariamente “per il dragaggio dei canali preesistenti che si sono interrati - o sono stati tombati - nel corso del tempo”.Non accettando per le proprie argomentazioni la definizione di “chiacchiere da bar” con la quale l’ha liquidato l’assessore all’Ambiente, il costituendo comitato annuncia che sta preparando un progetto alternativo, in collaborazione con la facoltà di Architettura dell’Università di Ferrara, partendo dalla tesi di laurea dell’architetto Andrea Monducci, incentrata proprio su un piano di recupero delle piallasse. Il progetto prevede il ripristino dell’idrografia, per riattivare il ricircolo delle acque che ora sono stagnanti; collegamenti ciclo-pedonali con Ravenna, Marina, la pineta e la spiaggia; riqualificazione delle aree degradate, piccoli ormeggi, risistemazione dei capanni, pulizia degli argini ricavando anche spiaggette, piantumazione di essenze autoctone come ulivelle e tamerici. Una piallassa che torni ad essere un’oasi di natura per i ravennati e un valore aggiunto per il turismo di Marina. Il progetto, lo giurano, è fattibile.
Articolo pubblicato nel "Corriere Romagna"