Processo nei confronti di un carabiniere

Giacomo Di Prinzio, 33 anni, all’epoca dei fatti era in servizio a Ravenna. Secondo l’accusa avrebbe comprato droga per uso personale da Claudio Caponi, già condannato a sei anni di reclusione per detenzione ai fini di spaccio di un notevole quantitativo di sostanze stupefacenti. Il processo nei confronti del vice brigadiere si è svolto nel giugno scorso davanti al gup Cecilia Calandra, che accolse le richieste del pubblico ministero Silvia Ziniti per tutti gli imputati. In particolare escludendo che a Caponi potessero essere concesse le attenuanti generiche, in quanto con il suo comportamento avrebbe tradito la propria missione. All’udienza del 10 luglio scorso, Di Prinzio - difeso dall’avvocato Massimiliano Nicolai di Cervia -, non avendo chiesto riti alternativi, è stato rinviato a giudizio davanti al giudice monocratico. Secondo l’accusa, l’appuntato, ricevendo da Caponi quantitativi variabili di cocaina allo scopo di farne uso personale ed omettendo il doveroso comportamento positivo di impedimento del reato, avrebbe contribuito alle singole azioni di spaccio poste materialmente in essere dal vicebrigadiere. Quest’ultimo venne arrestato, assieme ad altre cinque persone, dai carabinieri del Nucleo operativo in un appartamento di Marina di Ravenna, dove gli inquirenti trovarono mezzo chilo di droga, tra eroina e cocaina. Nell’agosto del 2001 una “fonte confidenziale” aveva rivelato ai carabinieri che era in arrivo un grosso quantitativo di sostanze stupefacenti: l’appartamento, frequentato da extracomunitari, venne sottoposto a controlli da parte dei militari, che predisposero anche una serie di pedinamenti. Dopo l’arrivo della droga, nella rete dei carabinieri finì anche Caponi. Insieme a lui sono stati condannati Alì Saitt, tunisino (cinque anni), Hagop Minasian, siriano (due anni). Assolta, invece, la comacchiese Tatiana Bonazza (il pm aveva chiesto la condanna a poco meno di quattro anni). Nel cellulare sequestrato al vicebrigadiere venne trovato un messaggio inviato, secondo l’accusa, da Di Prinzio: “Hai qualcosa per me?”. Durante le indagini preliminari, il pm aveva disposto un accertamento tecnico irripetibile avente ad oggetto l’estrapolazione dell’sms dal telefonino. Ieri mattina, su eccezione fatta dall’avvocato Nicolai, il giudice Rizzo ne ha dichiarato la inutilizzabilità come prova per vizi procedurali. Nel corso dell’udienza, Caponi è comparso in veste di testimone ma, in qualità di imputato di reato connesso, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Insieme a Di Prinzio sono accusati anche Zafir Housseim Raad, 30 anni, libanese, e Mohamed Ben Mourad Abdelli, 31 anni, tunisino. Entrambi sono contumaci.