La “Marina” di Eraldo Baldini

Il sovrintendente di polizia Giovanni Corelli è un tipaccio; non ama la costa romagnola: «Non dorme mai la riviera in agosto», esclama, facendo seguire alla considerazione un'imprecazione. A differenza del protagonista del suo racconto "Statale Adriatica Km 17"', compreso nell'antoloia "Italia Odia" (Mondadori, 2001), Eraldo Baldini è un patito della spiaggia ravennate. Non a caso lo scrittore ha ambientato proprio a Marina parte del suo primo romanzo, "Bambine", i romanzi brevi della raccolta 'Tre mani nel buio' e alcuni racconti di 'Gotico rurale'. Lo dimostra poi organizzando la manifestazione "La Duna dei libri", alla sua seconda edizione (inizierà il 20 giugno).
Davvero la riviera ravennate è come la vede il soprintendente Corelli: un caos quotidiano che si moltiplica verso sera, un happy hour dopo l'altro?
«Guardiamo la questione nel suo complesso. Marina ha cose belle e d'atmosfera: si respira un po' l'aria del porto, è un po' quella di un paese di pescatori. Può non piacere a tutti, anche perché l'estetica e l'arredo urbano non hanno ancora raggiunto i risultati... sperati. Ad essere onesti, il centro abitato non ha tenuto il passo con la velocità di trasformazione del litorale. Che sarebbe bello così com'è: una pineta splendida e la spiaggia. Qui, invece, gli imprenditori hanno deciso di spendere energie e danaro per qualificare l'offerta».
Ed è scoppiato il caos...
«Macché! Prima della 'Duna' non ero mai stato in quei bagni 'celebri'. Ho sempre frequentato uno stabilimento dove non c'è neppure la musica: un paradiso di pace. Poi, da anni ho amici alla Sub Delphinus. Anche lì, e siamo nel centro di Marina, c'è una tranquillità assoluta: non si sente neppure il rumore del paese. Così mi ero creato un'immagine di certi bagni abbastanza condizionata, risentivo insomma di pregiudizi. Sapevo che lì si davano appuntamento centinaia di giovani. Poi sono andato a vedere di persona».
L'immagine è cambiata?
«Sì, perché è stato subito chiaro come il motore di tutto fosse la voglia di stare insieme. Ci sono bar e locali da anni pieni di gente e la cosa non ha mai creato preoccupazioni. Naturalmente nella massa può finire anche qualche testa matta, ma questo era vero nelle balere degli anni Sessanta, nelle discoteche degli Ottanta e Novanta, in decine di altri posti, appunto. Con una peculiarità: che una parte di imprenditori offrono certo happy hours, ma anche musica, sport, appuntamenti culturali. In ambienti rinnovati e belli. Sta nascendo una sinergia interessante».
E' questo che fa arrivare gente da mezza regione?
«Direi proprio di sì. D'altra parte sono le stesse cose che i ravennati vivono da sempre: in spiaggia dalla mattina a notte inoltrata. Doveva forse restare una cosa solo per noi? Che la gradevolezza della situazione sia stata scoperta anche da altri dovrebbe fare piacere. Significa che ci sono turisti che spendono, giusto?».
Perché, allora, si parla di una situazione 'a rischio'?
«Le ragioni possono essere molte. Intanto perché ci si limita a credere alle 'leggende metropolitane' su una spiaggia in preda ai barbari. Poi perché si guarda la situazione dei week end e si generalizza. Anche per i ravennati Marina era la spiaggia del sabato e della domenica. Questo soprattutto perché mancano le strutture ricettive e, quindi, famiglie e turisti preferiscono passare 15 giorni in altre località. Perché nessuno dice che negli altri giorni non c'è quasi nessuno? Il tutto esaurito è cosa da 10 domeniche all'anno: la confusione è il dazio che si paga se si vuole essere una località di successo».
E le file lungo via Trieste?
«Esistono problemi strutturali, non lo si può negare. I servizi però ci sono: tant'è vero che vado al mare in autobus da anni. Poi non c'è bisogno di parcheggiare quasi a fianco dell'ombrellone. Sento su tutto il peso del provincialismo. Ci sono località turistiche dove la fila delle auto è continua tutta l'estate».
Quindi tutto 'normale'?
«No. Agli sforzi degli imprenditori e ad una situazione che mi pare, questa sì, normale, non ha corrisposto altrettanta buona volontà da parte di altre istituzioni. Si è accentuato un atteggiamento di grande severità, con aspetti punitivi, che non sono corretti se vogliamo che Marina viva davvero».